Le confessioni di un Italiano by Ippolito Nievo

Le confessioni di un Italiano by Ippolito Nievo

autore:Ippolito Nievo [Nievo, Ippolito]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T08:02:09+00:00


CAPITOLO DECIMOTERZO

Un Jacopo Ortis e un Machiavelli veneziano. Finalmente imparo a conoscere mia madre vent’anni dopo la sua morte. Venezia fra due storie. Una famiglia greca a San Zaccaria. Mio padre a Costantinopoli. Spiro ed Aglaura Apostulos.

In casa non trovai mio padre; e la vecchia fantesca maomettana si espresse con tanti segni e gesti negativi che io mi persuasi la mi volesse dire che non sapeva nemmeno quando sarebbe tornato.

Divisava fra me di aspettarlo, quand’ella mi consegnò un polizzino facendomi motto a cenni che era cosa di gran premura. Credeva quasi fosse una memorietta di mio padre, ma vidi invece che era scritto da Leopardo. «Non ci sei in casa» diceva egli «perciò ti lascio queste due righe. Ho bisogno di te tosto per un servigio che di qui a tre ore non mi potresti piú rendere». E non c’erano altri schiarimenti. Faccio intendere alla meglio alla vecchia mora che sarei di ritorno fra breve, piglio il cappello e via a precipizio fino al Ponte Storto. Cosa volete? Quel biglietto non diceva nulla, io avea lasciato la mattina stessa Leopardo grave e taciturno come il solito, ma sano e ragionevole. Pure il cuore mi annunciava disgrazie, e avrei voluto aver l’ali ai piedi per giungere piú presto. L’uscio di casa era aperto, un lumicino giaceva per terra a piedi della scala, penetrai nella stanza di Leopardo e lo trovai seduto in una poltrona colla consueta gravità sul volto, ma soffuso d’una maggior pallidezza. Guardava fiso fiso la lucerna, ma al mio entrare volse gli occhi in me, e senza parlare mosse un gesto di saluto. «Grazie»

pareva dirmi «sei venuto ancora a tempo!». Io mi sgomentii di quella attitudine, di quel silenzio, e gli chiesi con premurosa inquietudine cosa l’avesse per stare a quel modo, e in qual cosa mai potessi aiutarlo.

- Nulla; - mi rispose egli socchiudendo a stento le labbra, come uno che parla e sta per addormentarsi - voglio che tu mi faccia compagnia; scusami se non parlerò troppo, ma ho qualche doloruccio di stomaco.

- Mio Dio, chiamiamo dunque un medico! - io sclamai. Sapeva che Leopardo non soleva lamentarsi per poco, e quella chiamata notturna mi diceva i suoi timori.

- Il medico! - riprese egli con un sorriso mestissimo. - Sappi, Carlino, che un’ora fa io mi son preso in corpo due grani di sublimato corrosivo!…

Io misi uno strido di raccapriccio, ma egli si turò le orecchie soggiungendo:

- Zitto, zitto, Carlino! Mia moglie è di là che dorme nella seconda camera!… Sarebbe un peccato incommodarla tanto piú che l’è incinta, e questo suo nuovo stato le mette malumore.

- Ma no, per carità, Leopardo! lasciami andare! - (egli mi stringeva il polso con tutta la forza che aveva). - Forse siamo ancora in tempo: un buon emetico, un rimedio eroico, che so io… lasciami, lasciami…

- Carlino, tutto è inutile… Il solo bene che accetterò da te sarà, come dissi, un’ultima ora di compagnia. Rassegnati, giacché mi vedi piú ancora che rassegnato volonteroso d’andarmene; l’emetico ed il dottore verrebbero



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